Ripensare l’empirismo della prima modernità: il caso di Locke
DOI:
https://doi.org/10.4454/sl.3-464Parole chiave:
empiricism, sensationism, science of the mind, John LockeAbstract
Esiste una storia duratura e influente dell'empirismo, che recita così: da Locke fino a Carnap, l'empirismo è la dottrina secondo cui i dati sensoriali grezzi sono ricevuti attraverso il meccanismo passivo della percezione; l'esperienza è l'effetto prodotto dalla realtà esterna sulla mente o sui “recettori”. Per estensione, l'empirismo è l'“ancella” della scienza naturale sperimentale, che cerca di ridefinire la filosofia e i suoi metodi in conformità con i risultati della scienza moderna. In questo saggio riprendo, in modo frammentario, alcuni momenti rappresentativi di quello che consideriamo l'empirismo di Locke, per presentare una visione diversa. Non suggerisco, come è stato fatto in modo convincente, che la comprensione canonica dell'empirismo debba essere allargata o ampliata. Piuttosto, suggerisco che la figura canonica di Locke non pensava esattamente quello che pensiamo, o almeno quello che spesso sentiamo dire da altri. In particolare, l'empirismo lockiano come progetto non riguarda tanto l'essere “servo” delle scienze quanto piuttosto “questioni che riguardano la nostra condotta”. Ciò si ricollega a un tema che esploro altrove, ovvero come l'indagine lockiana sulla mente non sia una proto-“scienza della mente”. Qui mi concentro sulla revisione della nostra visione dell'empirismo lockiano a favore di una visione meno epistemologica e più etico-pratica.