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Locke, l'Islam e le altre religioni non cristiane
DOI:
https://doi.org/10.4454/sl.5-1103Parole chiave:
Paganesimo, giudaismo, Islam, antinomianismo, virtù morali e sociali, tolleranzaAbstract
Il duraturo interesse di Locke per i fondamenti e i limiti della libertà religiosa non può essere ridotto ad una semplice articolazione ideologica degli interessi del suo partito o al contesto della lotta politica del suo tempo. Esso era radicato in considerazioni universalistiche e metodologiche, che andavano ben oltre le circostanze del tempo e del luogo in cui visse. Non è una coincidenza che Locke, in tutti i suoi scritti sulla tolleranza, si sia spinto oltre la sfera dei conflitti tra la Chiesa di Stato e le sette dissidenti in Inghilterra. L’indicatore più chiaro dell’intenzione filosoficamente universale della sua teoria della tolleranza è il fatto che egli la rivendicò, lungo tutto il suo percorso intellettuale, non solo per le chiese cristiane, ma anche per le religioni non cristiane: per i pagani, gli ebrei e i musulmani (in un contesto in cui era tra i pochissimi a rivendicare una tolleranza così ampia). Per Locke, la questione fondamentale è sempre stata il fondamento religioso dei doveri morali e sociali (a partire dal rispetto delle promesse), senza il quale nessuna società è al sicuro da sé stessa. Sebbene fosse lontano dal considerare tutte le religioni sullo stesso piano, aveva, tuttavia, una mentalità aperta sull’utilità sociale della religione in generale. Riteneva che solo una religione (quella praticata nel suo paese) offrisse agli uomini un percorso praticabile verso il paradiso. Tuttavia, pensava anche che molte religioni, se non quasi tutte, offrissero agli uomini di buona volontà un percorso valido per il bene, tutt’altro che trascurabile, della pace nel mondo.