Senso e denotazione nel sintomo psicoanalitico
DOI :
https://doi.org/10.4454/phi-psy.v2i2.526Mots-clés :
sintomo, godimento, fantasma, inconscio, significato, denotazione, riferimento, denominazioneRésumé
Di cosa parliamo quando parliamo della nostra sofferenza a uno psicoanalista? A partire da questa domanda e attraverso una lettura articolata di alcuni concetti chiave della teoria psicoanalitica lacaniana (sintomo, inconscio, godimento, fantasma) e di altri concetti della filosofia analitica (significato, denotazione, riferimento, denominazione), si propone una riflessione tra epistemologia e teoria clinica.
Chi grida o piange mostra dolore ma non comunica nulla a nessuno, diverso sarebbe dire “ho dolore”, “soffro”, che induce l'intenzione di dire “qualcosa” di ciò che proviamo a qualcuno che ci ascolta. Ma la sofferenza non è un messaggio, non ha valore comunicativo, non ha destinatari, è fuori dal linguaggio e quindi, quando ne parliamo, di cosa stiamo realmente parlando?
Il sintomo psicoanalitico, così come lo intende Lacan, riassume questo paradosso: da un lato è una questione di credenza, ha un senso (Sinn), si crede che possa parlare, che significhi qualcosa, che sia spiegabile e questo produce un transfert sul sintomo stesso, dall'altro ha lo statuto di ciò che è più reale per il soggetto (Bedeutung), è qualcosa di inassimilabile, fuori senso, inerte, ripetitivo. La differenza tra significato e riferimento è stata oggetto di un appassionante dibattito in ambito filosofico, a partire dal tema del nome proprio e della denominazione che, in questo testo, viene ripreso e intrecciato con la riflessione di Lacan e Miller sul sintomo.
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