Il sublime kantiano: un sentimento umano troppo umano
DOI :
https://doi.org/10.4454/phi-psy.v2i1.431Mots-clés :
Immanuel Kant, sublime, Jean-François Lyotard, Gilles Deleuze, Alenka ZupančičRésumé
Contrariamente a quanto sostengono Deleuze e Lyotard nelle opere che gli dedicano, con il sublime Kant non va oltre se stesso. E se non si può nemmeno dire che sia difficile impostare una
filosofia egocentrica dopo aver letto l’Analitica del sublime, è perché in queste pagine Kant
è meno interessato all’incontro del pensiero con il suo “esterno” che alla possibilità di dotare il soggetto sensibile di una corazza sovrasensibile. Il sublime, per Lyotard e Deleuze, è
l’uso eccessivo delle facoltà, ma Kant è più interessato alla regolazione che all’eccesso, più a ciò che la crisi dello schematismo rivela che alla crisi stessa. Credere il contrario significa trascurare ciò che accade nel secondo tempo di questo sentimento: l’elevazione dell’anima. A differenza dell’incontro con la legge morale che Kant introduce nella Critica della ragion pratica come “fatto di ragione”, nel sublime il noumeno non diventa sensibile a spese dell’io ma a suo sostegno. E, come ha dimostrato Zupančič, l’ego così elevato non è solo un “super” ego, ma un super-ego: la versione immaginaria della legge.
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