La caccia della Tomba dei Demoni Azzurri: la fine di una tradizione
DOI:
https://doi.org/10.4454/ostraka.v32.743Parole chiave:
Tarquinia, Tomb of the Blue Demons, hunting scene, iconography, iconologyAbstract
Il contributo analizza il programma figurativo della Tomba dei Demoni Azzurri, che rivela la cultura di un oligarca alle soglie della fine di un regime inaugurato tre generazioni prima e cerca in particolare di spiegare il ruolo attribuito alla duplice scena di caccia della parete d’ingresso, ultima di una serie presente in un non grandissimo numero di tombe di VI e V secolo a.C. e non in posizione eminente. In Etruria la caccia è sempre stata una componente accessoria della cultura dominante, in buona sostanza rara e, a differenza di quanto accade della Tomba dei Demoni Azzurri, per lo più confinata a parti secondarie della rappresentazione: non è un caso che fino all’avanzata età imperiale non abbia considerato la caccia un’attività dimostrativa del cuore dell’ideologia patrizia occupato dalla virtus militare e guerriera. Avendo presente tutto ciò, il commitente degli affreschi della Tomba dei Demoni Azzurri, che lo denunciano come estremo rappresentante della mentalità oligarchica, legato ai rituali tradizionali del triumphus e del convivium, ma anche all’esperienza venatoria, può ben essere definito un “uomo in mezzo al guado”, legato al passato e ai suoi riti, ma al tempo stesso aperto alle prospettive escatologiche greche, che il programma figurativo, pur dandogli una forma di statuto, dichiara patrimonio non dei summi viri, ma del mondo femminile di questi.
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