Attorno alla ceramografia tarquiniese alto-arcaica, personalità e percorsi di tradizione: il Pittore della Doganaccia
DOI:
https://doi.org/10.4454/ostraka.v30.381Abstract
Nel 1974, dando alle stampe il terzo fascicolo del Cor-
pus Vasorum Antiquorum dedicato alle ceramiche italo-
geometriche del Museo Archeologico Nazionale di Tar-
quinia, Fulvio Canciani pubblicava un gruppo di cinque
frammenti pertinenti ad un grande vaso di forma chiu-
sa, un’oinochoe o un’anfora, decorato nel punto di massi-
ma espansione del corpo con una serie di figure di caval-
li gradienti verso destra e grandi motivi circolari come
riempitivi posti sopra il dorso degli animali e composti
da due cerchi concentrici ad un punto centrale che rac-
chiudono una fila di corposi punti, ornamento che ritor-
na anche nel fregio superiore, separato da tre linee oriz-
zontali parallele, in corrispondenza della spalla (fig. 1).
La scheda, assai puntuale come tutte quelle dell’intero
fascicolo, informava sulle caratteristiche tecniche dell’ar-
gilla – rosa micacea con ingubbiatura giallina – e della
vernice – bruno scura; scrostata – e dopo aver rimarcato
l’eccezionalità dell’iconografia degli animali, diversi da
quelli del Pittore dei Cavalli Allungati1 e, più in generale,
da quelli presenti nel repertorio di alti centri etruschi e
laziali, si chiudeva cautamente con la proposta di una
probabile relazione del vaso “con modelli cicladici o gre-
co orientali, per ora non meglio precisabili”2.
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