Palazzina e città
DOI:
https://doi.org/10.4454/9xnyd088Abstract
Negli anni di rilancio economico, le palazzine rappresentavano una attività fiorente grazie anche alla ingente disponibilità della committenza: una classe borghese in crescita, ambiziosa e intenta a autorappresentarsi, più incline a modellidomestici opulenti e individuali che alla costruzione della città come fatto collettivo.
L’alta flessibilità con cui il volume è stato manipolato nel tempo, la sua adattabilità a registri semantici mutevoli, l’attitudine a sperimentazioni distributive, strutturali,
materiche e conseguentemente linguistiche, ha fatto sì che l’elemento più anarchico dal punto di vista della tipologia e più indifferente alla morfologia urbana, diventasse per paradosso il più adattabile ai mutamenti della città. Ideale per città di recente formazione o a bassa densità, essa dimostrava di sapersi insediare agilmente nei vuoti informali dell’inedificato, nei lotti sghembi, negli spazi eterogenei della città, diffusi o consolidati che fossero. Lo spartito è sempre lo stesso ma le variazioni possono essere infinite.